Il Bajazet di Antonio Vivaldi al Teatro Malibran
con la regia di Fabio Ceresa e direttore d’orchestra Federico Maria Sardelli
Con il nuovo allestimento del Bajazet (Il Tamerlano), la Fenice aggiunge un nuovo tassello nel percorso alla riscoperta del Vivaldi operistico. Dopo Dorilla in Tempe (2019), Farnace (2021), Griselda (2022) e Orlando furioso (2018, 2023), stavolta è proposto Il Bajazet: dramma per musica in tre atti su libretto di Agostino Piovene, ispirata alla figura del sultano dell’impero ottomano Bajazet e del condottiero mongolo Tamerlano.
Il nuovo allestimento è stato affidato a due grandi specialisti di questo repertorio: il direttore Federico Maria Sardelli, alla testa dell’Orchestra del Teatro La Fenice, e il regista Fabio Ceresa, con le scene di Massimo Checchetto (designer degli spettacoli sull’acqua di Carnevale) i costumi di Giuseppe Palella, il light design di Fabio Barettin e il video design di Sergio Metalli. Di grande prestigio il cast: Sonia Prina interpreta il ruolo di Tamerlano; Renato Dolcini quello di Bajazet; Loriana Castellano è Asteria; Raffaele Pe, Andronico; Lucia Cirillo, Irene; Valeria La Grotta, Idaspe.
Il debutto del Bajazet (RV 703) avvenne durante la stagione del Carnevale del 1735, al Teatro Filarmonico di Verona. Vivaldi scelse un libretto di Agostino Piovene tratto da una tragedia di Jacques Pradon, Tamerlan ou La mort de Bajazet (1675). Il soggetto, basato su fatti storicamente accertati, gli era ben noto per essere già stato musicato da Francesco Gasparini e rappresentato al San Cassiano di Venezia nel 1711. L’azione del dramma si svolge a Bursa, capitale del sultano ottomano sconfitto. Il sovrano Bajazet è stato catturato da Tamerlano. Questi, pur avendo stabilito patti nuziali con Irene, principessa di Trebisonda, che d’altronde non ha mai visto, è innamorato della fiera figlia di Bajazet, Asteria. Un principe greco alle dipendenze di Tamerlano, Andronico, è anch’egli invaghito di Asteria, la quale ricambia il suo amore. Benché Bajazet respinga con sdegno l’ipotesi di un matrimonio tra sua figlia e l’odiato Tamerlano, Asteria finge di assecondare questo progetto, per poter assassinare il nemico. La sua vendetta è però sventata da Irene, giunta in città sotto falso nome. Riconoscente, Tamerlano acconsente a sposare Irene e, commosso dalla notizia della morte per suicidio di Bajazet, permette le nozze tra Asteria e Andronico.
Per realizzare musicalmente il libretto, Vivaldi ricorse alla forma del ‘pasticcio’. Con questo termine si intende sia la ripresa di uno spettacolo in cui sono stati sostituiti alcuni pezzi rispetto all’originale, sia un libretto già in origine concepito come assemblaggio di pezzi di varia provenienza. In questo caso, Vivaldi cercò di rendere il suo dramma ben accetto al gusto degli spettatori più aggiornati incorporando nel libretto arie scritte da altri musicisti. Così facendo, che illustra simbolicamente in questo modo: ai personaggi ‘positivi’ e a loro modo fedeli e integri (Bajazet, Asteria, Idaspe), il musicista attribuì arie da lui stesso composte, mentre ai rappresentanti dell’oppressione egemone (Tamerlano, Andronico, Irene) egli affidò in prevalenza arie di autori ‘napoletani’ come Hasse, Giacomelli, Porpora, Riccardo Broschi.
«Affrontiamo dunque il pasticcio per quello che è – commenta il regista Fabio Ceresa –. Se ognuna di queste arie è tratta da un’opera diversa – e quindi da uno spettacolo diverso – proviamo a concepire a questo genere musicale come un vero e proprio collage di suggestioni e idee. Un ricco buffet in cui ogni vassoio presenta una sua propria, deliziosa specialità che per ingredienti ed elaborazione differisce da tutte le altre. Nel nostro allestimento il filo narrativo sarà mantenuto nell’esecuzione dei recitativi. Qui gli interpreti daranno vita al testo raccontando al pubblico la storia di Bajazet: ma lo faranno in costume neutro, ‘da cantante’, quasi come se assistessimo a una prova all’italiana o a un’opera in forma di concerto. All’interno di questa struttura si alterneranno venticinque siparietti, uno diverso dall’altro per stile, ritmo, disegno, concezione. Venticinque numeri che potrebbero essere tratti da venticinque diversi spettacoli per ambientazione, per interpretazione, per linguaggio scenotecnico. Chi conosce la trasmissione Carosello, in onda sulle reti televisive pubbliche negli anni Sessanta e Settanta, ricorderà come fosse articolata: una serie di cortometraggi – spesso diretti da registi di grido come Fellini, Pasolini, Magni, Olmi – slegati l’uno dall’altro e di brevissima durata, che veicolavano con maestria un messaggio pubblicitario utilizzando una piccola storia autoconclusiva. Lo stesso accadrà con Il Bajazet: venticinque numeri musicali, venticinque siparietti tutti diversi tra loro, venticinque opere liriche formato mignon».
Il risultato è fenomenale: per esempio in un’aria del terzo atto, vediamo Bajazet, con la muta subacquea, immergersi in un abisso popolato di pesci, per poi innalzarsi verso le stelle, immerso nel cosmo, nuotando verso gli astri, verso Saturno e i suoi coloratissimi anelli. Assistiamo a zuffe medievali cavalleresche, uno scantinato sadomasochista, una sequenza di video gioco culto come Super Mario alias Bajazet, l’inclusione dei protagonisti di Vivaldi in altri personaggi di fama mondiale come Jessica Rabbit, Jack lo Squartatore in una Londra sanguinosa, un’occhiata a Farinelli. Poi la composizione di quadri paesaggistici che arrivano al cuore di tutti: la bella Venezia, immersa nella sua laguna sulla quale naviga una misteriosa gondola, che si intreccia con gli intrighi di Irene e di un medico della Peste vestito dal suo famoso costume con naso longhissimo, creando un quadro poetico ed intrigante. Si capisce che Fabio Ceresa e Massimo Checchetto si sono divertiti.
Il direttore Federico Maria Sardelli apporta la sua luce su questa partitura che appartiene all’ultima fase creativa di Antonio Vivaldi: «Bisogna tener presente che Vivaldi è un autore in continua evoluzione. Noi abbiamo di lui un’immagine un po’ stereotipata e monocorde: attingiamo alle poche sue opere che oggi lo rendono famoso – come le Stagioni, o l’Estro Armonico – e lo schiacciamo su un’immagine stilistica che sembra sempre uguale a se stessa. In verità, invece, Vivaldi cambia continuamente pelle e imprime al suo linguaggio una forte evoluzione: dalle sue prime prove compositive, come le sonate Op. I, alle ultime sinfonie galanti, abbiamo l’impressione di trovarci davanti a compositori diversi. Diversamente da Händel, che riesce a citare se stesso a distanza di trenta, quarant’anni, o da altri compositori che sono più stabili nello stile, Vivaldi cambia e si aggiorna di continuo. Il Bajazet è proprio un esempio di quanto il suo gusto fosse mutato, rispetto ad esempio all’Ottone in villa o più in generale alle prime prove teatrali. Questo cambiamento continuo lo porta ad assomigliare ai compositori che andavano di moda in quegli anni, più giovani di lui di quindici, vent’anni, ossia agli esponenti di quella scuola napoletana che furoreggiava a Venezia e in Italia. Già sessantenne, Vivaldi è ancora in grado di modificare il suo gusto per restare sulla cresta dell’onda».
Un grande spettacolo che consiglio a tutti, le oltre tre ore di intrattenimento passano in fretta da tanto ci ritroviamo coinvolti da questo splendido allestimento perfettamente eseguito da tutti, in una sinergia compositiva notevole.