La Loggia e l’Odeo, rispettivamente scena teatrale e luogo per la musica, sono quanto rimane di un più vasto complesso di edifici e giardini frutto dell’incontro e del sodalizio tra Alvise Cornaro, appassionato di architettura e studioso dell’antichità classica nonchè mecenate di letterati e artisti e Giovanni Maria Falconetto, pittore – architetto veronese, dotato di una notevole cultura archeologica consolidata a Roma.
La loggia, eretta nel 1524 su suo progetto, fu concepita come una vera e propria scena fissa di teatro all’antica, realizzata in pietra di Nanto e scandita da arcate che si alternano a colonne su cui corre l’architrave con metope e triglifi, mentre sopra l’arcone centrale, rielaborazione dell’arco di trionfo romano, sono poste le Vittorie alate, motivo ricorrente nelle opere dell’artista. Al piano superiore, entro tre finte finestre, si trovano le statue in stucco forte rappresentanti Diana, Venere e Apollo realizzate, secondo canoni manieristici di eleganza e movimento, dallo scultore Jacopo Colonna collaboratore di Jacopo Sansovino.
L’interno della loggia, decorata alla romana con alternanza di affreschi e stucchi probabilmente realizzati dai figli di Falconetto, Ottaviano e Provolo, presenta negli ovali agli angoli della volta, quattro figure in rilievo di giovani donne, forse allegoria delle Quattro stagioni, mentre nei tondi della parete nord, spiccano, a stucco su sfondo scuro, gli dei che danno il nome ai pianeti: Diana-Luna, Marte, Saturno e Venere. Nel lato sud si conservano solamente l’immagine del Sole, rappresentato da un uomo barbuto seduto sul disco solare, Mercurio col caduceo alato e Giove munito di arco e frecce.
L’Odeo, che risale probabilmente al 1530 ed era luogo per la musica, gli ozi intellettuali nonchè sede di quella accademia degli Infiammati fondata nel 1540 da Daniele Barbaro, Leone Orsini e Ugolino Martelli, si ispira alla villa di Marco Terenzio Varrone a Cassino, descritta in una lettera a Cicerone.
Sembra che nel progetto, uno spazio centrale ottagonale circondato da vani laterali disposti simmetricamente, abbia avuto molto parte il Cornaro stesso, che volle creare qui un edificio all’antica. L’opera, per la sua disposizione spaziale e per il felice rapporto tra decorazione e architettura, diventerà un prototipo per le ville del Cinquecento nel Veneto. La volta del vano centrale presenta splendide decorazioni a grottesche su fondo chiaro, primo esempio a Padova di questo motivo diffusosi a Roma e Mantova nella prima metà del Cinquecento a seguito della scoperta della Domus Aurea di Nerone.
Attribuiti a Gualtiero Padovano, artista che si ispira alle incisioni di Domenico Veneziano e alle decorazioni a grottesche di Polidoro da Caravaggio nelle Stanze Vaticane, gli affreschi presentano, nel motivo a candelabro, un “turbinio” di putti, satiri, vasi, antiche divinità e misteriose figure incappucciate di indovini, una simbologia probabilmente legata alla pratica alchimistica e ai riti del mondo contadino. Nelle sale attigue si aprono ariosi paesaggi ideali attribuiti a Lambert Sustris, artista originario di Amsterdam, ma operante, a partire dal terzo decennio del XVI secolo, a Roma, Venezia, dove fu allievo di Tiziano e Padova. È ipotizzabile che gli stucchi, siano opera dei figli di Falconetto e soprattutto, di Tiziano Minio, scultore padovano attivo all’Odeo tra il 1534 e il 1537.
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