Mercato e collezionismo delle stampe venete dal XV al XX secolo

Stampe venete dal XV al XX secolo,  Mercato e collezionismo di Luca Zentilini

Conferenza tenuta il 24 gennaio 2023 da Luca Zentilini, esperto collezionista di stampe venete ( e non solo) invitato dalla Prof. ssa Donatella Calabi e del dott. Giulio Manieri Elia, direttore del museo delle Gallerie dell’ Accademia di Venezia.

“Innanzitutto ringrazio la professoressa Donatella Calabi per avermi invitato a parlare in questo ciclo di conferenze e le Gallerie dell’accademia e in particolare il direttore Giulio Manieri Elia che ci ospitano.

Faccio subito una precisazione sulla metodologia di questo intervento. Non farò una storia dell’incisione a Venezia ma una storia del mercato dell’incisione. Quindi la scelta degli artisti è funzionale a questo tipo di narrazione. Mi interessano le motivazioni commerciali e non che stanno dietro alla produzione, il modo in cui le stampe venivano commercializzate e perché, chi erano i clienti, etc. Trascurerò quindi artisti di primo piano come i Tiepolo e mi soffermerò su altri minori se questi risultano più interessanti ai fini della mia ricerca. Aggiungerò durante la mia esposizione anche alcuni aspetti didattici e qualche informazione sul mercato attuale delle incisioni.

Vorrei iniziare questo mio intervento parlando di quella è la vera grande protagonista del mondo legato alla produzione dei libri e delle stampe artistiche: la carta. Posso dire che in qualche modo tutta la mia vita professionale, sia di mercante che di editore sia stata influenzata dal profumo della carta antica. Il profumo delle carte settecentesche è capace di evocare in me immagini nitidissime ed è stato forse il motore principale delle mie passioni che mi hanno portato prima a collezionare, poi a commercializzare le magnifiche edizioni di quell’epoca.

A Venezia si producevano carte di straordinaria qualità: ho sempre pensato alle carte antiche come uno sofisticato strumento tecnologico. Mi accade nel mio mestiere di imbattermi in edizioni quattrocentesche in perfetto stato di conservazione in cui le carte conservano dopo più di cinque secoli un biancore e una fibra sorprendenti. Come fossero state prodotte ieri.

Ho recuperato alcune incisioni dal “dizionario delle arti e dei mestieri” di Francesco Griselini, una specie di piccola Encyclopedie Diderot D’ Alembert pubblicata a Venezia nella seconda metà del settecento. Francesco Griselini fu uno scienziato poligrafo attivissimo e vulcanico. nel suo dizionario vi è un corposo capitolo sulla produzione della carta, industria allora importantissima a Venezia, corredato di magnifiche incisioni che mostrano le varie fasi della produzione.

La carta veniva prodotta con gli stracci di cotone e di lino che venivano macerati fino a produrre una poltiglia che veniva poi depositata nelle caratteristiche cassette di legno con un reticolo metallico (le vergelle, da qui l’appellativo carta vergellata) che racchiudeva il disegno della filigrana. La filigrana era obbligatoria, imposta per pubblico decreto, e serviva ad identificare il produttore in modo da poter verificare se alla produzione erano stati applicati i requisiti minimi di qualità imposti. La fase finale, l’incubo dei cartai, era la collatura, operazione importantissima che serviva a dare nerbo alla carta. Il problema era l’esito incerto del procedimento che dipendeva molto anche dalle condizioni atmosferiche in cui veniva effettuata. La carta era un materiale molto costoso, un bene di lusso. Il problema fondamentale era il reperimento degli stracci. Tanto che la congregazione dei produttori di carta ad un certo punto si chiese se non era il caso di seppellire i morti senza sudario in modo da poter recuperare i preziosi teli.

La carta è l’elemento caratterizzante dell’incisione. La freschezza, il profumo caratteristico, la croccantezza, come la chiamiamo noi addetti ai lavori, che si concretizza con il caratteristico fruscio che emana dal movimento dei fogli, costituiscono a tutti gli effetti l’elemento emozionale e irripetibile della stampa antica.

La carta costituisce anche uno dei costi più importanti nella produzione di stampe e ancora di più nella produzione dei libri. Si stima che nella produzione di stampe incidesse mediamente intorno al cinquanta per cento. Anche se questo è un dato presumibilmente estremamente variabile. Se penso per esempio alla pianta del De Barbari con i tre anni necessari alla realizzazione dei legni concludo che il costo della carta in un caso del genere era probabilmente molto inferiore al cinquanta per cento dei costi complessivi. Credo la de Barbari sia stata stampata in un numero di esemplari non troppo elevato. Lo possiamo dedurre dalla rarità della stessa sul mercato ed è oltretutto ragionevole pensare che all’epoca non molti fossero i clienti che potevano permettersi un giocattolo del genere.

A tal proposito è interessante aggiungere qualcosa sulle tirature delle stampe. Innanzitutto il concetto di numerazione dell’incisione è relativamente recente e viene introdotto nel ventesimo secolo. Nella stampa antica la tiratura rimane un dato abbastanza misterioso che possiamo desumere per esempio analizzando i registri contabili degli stampatori. Si possono fare delle ipotesi anche sulla base della capacità di resistenza all’usura dei rami (o dei legni nel caso delle xilografie). Va considerato che molto spesso questi venivano ripuliti e ribulinati (cioè ripassati con il bulino per ravvivare il disegno) per renderli di nuovo utili alla stampa. A volte venivano rimaneggiati anche pesantemente da editori meno raffinati che li acquistavano dopo molte tirature per sfruttarli commercialmente e intervenivano deteriorando anche considerevolmente la qualità originale dell’opera. Le stampe antiche venivano tirate probabilmente in media in numero di circa 500 (che è anche il quantitativo di fogli delle risme di carta). I legni delle xilografie con stampe popolari di santi venivano probabilmente utilizzati per tirature di gran lunga superiore.

Un altro aspetto interessante del commercio delle stampe è il packaging. Come queste stampe venivano vendute. Spesso venivano accorpate in serie a volte con una numerazione progressiva e un proprio frontespizio, a volte venivano vendute sciolte. Erano comunque tendenzialmente destinante a rimanere dentro delle cartelle e a non venire esposte.

Il più grande cambiamento, una vera rivoluzione nel mondo della stampa, è l’introduzione delle carte industriali. All’inizio del diciannovesimo secolo divengono dominanti le carte di cellulosa che in breve sostituiscono pressoché totalmente quale di cotone. E’ un cambiamento enorme e stravolgente. Le nuove carte sono molto più economiche e, oltre a non avere le caratteristiche di nobiltà di quelle più antiche (è come paragonare una seta a telaio Bevilacqua a un tessuto sintetico), avevano diversi problemi di conservazione. Una tendenza ad ossidarsi, una resistenza nettamente inferiore all’umidità (ricordo che una carta antica può essere agevolmente lavata e ricollata). Le carte industriali del primo novecento venivano sbiancate con abbondati quantità di acido che poi restando all’interno delle fibre salvo poi aggredire nel tempo e distruggere la carta stessa. Noti sono gli esiti disastrosi delle edizioni Treves, che attaccate dagli acidi abbondantissimi presenti nelle fibre della carta di bassa qualità utilizzata, si polverizzano.

Vediamo ora all’ambiente dei mercanti di prodotti a stampa con un’immagine fortemente suggestiva ed evocativa di quello che era il mondo del commercio librario e delle stampe a Venezia. Già dal cinquecento la Zona tra Rialto e San Marco era quella in cui si localizzavano le botteghe più importanti di stampatori e librai. Tenete conto che parliamo di una città di 190.000 abitanti in un tempo in cui Roma ne avevano 100.000 ed era un centro caratterizzato da un livello di cosmopolitismo considerevole. Nelle Mercerie si trovavano decine di botteghe tra cui quelle di Forlani e dei Bertelli, in Frezzeria per esempio quelle di Matteo Pagano, autore della celeberrima processione e Giacomo Franco. Nel diciottesimo secolo la concentrazione di botteghe era ancora superiore. Partendo da San Salvador, ove si trovava la prestigiosa libreria del padovano Manfrè, proseguendo per le Mercerie era tutto uno straordinario susseguirsi di botteghe di libri e stampe. Appena imboccata la Merceria i negozio di Baglioni (uno dei più prolifici stampatori nella Venezia del ‘700) poi la grande libreria di Francesco Pitteri, sul ponte dei Bareteri il grande negozio di stampe di Ludovico Furlanetto, stampatore che, tanto per darvi un’idea, produsse la pianta di Venezia di Ludovico Ughi e le meravigliose incisioni di Giovan Battista Brustolon tratte dai disegni di Canaletto. Poi proseguendo verso San Marco le Botteghe di Coleti, Colombani, quella sublime dell’Albrizzi, Pezzana, Locatelli, Pasinello, Bettinelli, l’importante libreria di Herz, e poi Simone Occhi, Domenico Occhi e poi le importanti botteghe da stampe di Giovanni Wagner e Teodoro Viero in Mercerie dell’Orologio.

In una lettera di Johann Caspar Goethe (il padre di Wolfgang) le mercerie vengono descritte come “un accademico liceo brulicante di letterati attorno ai banchetti e alle vetrine ricolme di novità. I libri, rilegati alla rustica, erano ordinati nelle scansie in modo da consentire agevolmente ai clienti di scorrere gli scaffali e di accertarsi delle opere di cui il negozio era provvisto. Nobili e altra gente scientifica frequentava le botteghe più per studiare e per servirsi di quei libri che per comprare. Non so – si chiedeva il Goethe – se avessero comprato prima – sin tanto che io vi fui non vidi altro che leggere e discorrere. In queste librerie sotto pretesto di comprare una bagatella può farsi conoscenza coi primi della città, i quali colmano lo straniero con tanta e tanta gentilezza”.

Immaginate la bellezza e lo straordinario fermento culturale che ribolliva in questo formidabile agglomerato di botteghe. Se questi erano gli anni della decadenza veneziana non so bene come dovrei descrivere i tempi in cui viviamo oggi. Nel 1735 a Venezia erano presenti 26 stamperie in cui erano attivi 94 torchi. Uno dei centri di produzione di libri e stampe più importanti del mondo di allora.

Le prime stampe prodotte in Europa (ma la tecnica era già ben nota in Cina) sono xilografie. L’immagine veniva riprodotta su una tavoletta di legno in rilievo che veniva poi inchiostrata e impressa sulla carta. Nel quattrocento la xilografia è utilizzata anche per la produzione di rudimentali immagini sacre ad uso popolare.

Ma vorrei parlarvi della xilografia veneziana più famosa: la veduta a volo d’uccello di Jacopo de barbari. Ciò che interessa in questa sede è la vicenda economica che porterà alla produzione di quello che possiamo considerare uno dei grandi capolavori italiani del rinascimento italiano. Quello che mii ha sempre sorpreso dell’opera del De Barbari è il suo aver rappresentato con esattezza sconvolgente qualcosa che nella sua vita non vide mai ma poté solo immaginare o simulare nella sua mente con complicati calcoli scientifici. La De Barbari è realizzata su sei tavole di legno di pero (si usava legno duro e povero di nodi) che sono conservate al Museo Correr. Fu commissionata dal mercante tedesco Anton Kolb, originario di Norimberga, che ebbe l’idea di produrre la più grande veduta di Venezia mai realizzata per commercializzarla nelle corti di tutta Europa. Kolb aveva conosciuto il De Barbari durante la sua permanenza a Venezia nel Fondaco dei Tedeschi. Siamo a conoscenza dei rapporti tra Kolb e De Barbari e della stima che nutrivano reciprocamente grazie alle corrispondenza tra De Barbari e Albrecht Dürer. I due si erano incontrati durante uno dei numerosi viaggi europei dell’artista veneziano.

La produzione della veduta di De Barbari si configura come un’importante iniziativa imprenditoriale che immaginiamo comportò un notevole investimento finanziario visto che la gestazione durò ben tre anni implicando la partecipazione di numerose maestranze di altissimo livello. Questo ci da anche la misura, seppur approssimativa, di quanto potesse costare all’epoca un esemplare della veduta. Sicuramente un prezzo elevatissimo per un prodotto destinato solo a clienti ricchissimi o a famiglie reali. Vale la pena notare come tutti prodotti a stampa fossero anticamente molto costosi. Erano beni di lusso destinati esclusivamente alle classi più agiate. Il costo elevato della carta, le complesse procedure di intaglio e, nel caso dei libri, il delicato processo di composizione del testo nonché il lavoro di correzione. E’ interessante osservare anche i movimenti di prezzo di un prodotto come la veduta del De Barbari anche nel mercato c contemporaneo. Questo è un tipo di informazione che vi fornirò nel corso di questo intervento in relazione anche ad altri prodotti perché credo possa essere interessante conoscere le dinamiche di questo particolare mercato. La veduta del De Barbari è un oggetto di estrema rarità. Gli esemplari noti nel mondo sono poche decine e quelli in mano privata ancora meno: nel mercato antiquario i sei fogli sono comparsi forse un paio di volte negli ultimi decenni. E’ difficile fornire un prezzo di riferimento. La valutazione dipende molto dalla localizzazione dell’esemplare (come per tutti gli oggetti di antiquariato molto rari) in quanto, se localizzato in Italia, potrebbe avere delle limitazioni nella richiesta di esportazione. Rilevante, come sempre, è inoltre lo stato di conservazione. I sei fogli integri, senza lacune o restauri rilevanti, con impressione fresca e ben contrastata (la De Barbari è impressa in una carta molto spessa e di grande qualità) credo nel mercato internazionale potrebbero raggiungere facilmente una valutazione intorno ai due milioni di euro.

La De Barbari non è l’unica veduta o pianta di Venezia prodotta tra la fine del quattrocento e l’inizio del cinquecento. Celeberrima (e precedente alla De Barbari) è la veduta prospettica incisa da Erhard Reuwick per illustrare la Peregrinatio di von Breydenbach edita a Magonza nel 1486, volume abbastanza raro che, durante il secolo scorso subì più di qualche mutilazione per privarlo appunto della veduta di Venezia oltre che di quella magnifica di Gerusalemme. Sono anche queste vedute abbastanza rare da reperire sul mercato antiquario attuale e per un buon esemplare si debbono sborsare anche 50.000 euro mentre il volume completo può arrivare a 300.000 euro e più. Ma la produzione di piante e vedute prospettiche di Venezia è in quegli anni notevolissima il che dimostra chiaramente il grande interesse per le rappresentazioni della nostra città. ci sono testimonianza di quanto le piante della città di Venezia fossero presenti nelle fiere internazionali come per esempio quella importantissima di Francoforte (forse non molti sanno che la fiera del libro nacque a Francoforte alla fine del quindicesimo secolo). Come molti di voi sapranno esistono repertori autorevoli che catalogano la produzione di queste piante e vedute che hanno costituito nei tempi recenti oggetto di importanti collezioni. Questo tipo di collezionismo si è ridimensionato negli ultimi anni. Ma bisogna rilevare che la reperibilità delle piante più rare è aumentata considerevolmente. Direi che nelle aste degli ultimi anni sono quasi scomparse. Segno evidente che chi le possiede non ha intenzione di venderle o che molte sono finite in collezioni pubbliche.

Un effetto collaterale della grande richiesta di piante sempre più dettagliate e fedeli al vero fu probabilmente il progressivo passaggio dall’uso del sistema xilografico all’utilizzo del rame che permetteva certamente una maggiore precisione di dettaglio rispetto a quanto fosse possibile nel legno. Soprattutto in stampe di più piccole dimensioni.

La produzione di stampe che rappresentassero Venezia e le sue bellezze ha sempre costituito, fin dalle origini, uno dei più importanti motori commerciali della produzione di stampe. Nei primissimi anni del settecento l’editore Finazzi con bottega a San Giovanni Grisostomo, chiede privilegio di stampa per la raccolta raccolta “Le fabbriche e vedute di Venezia, poste in prospettiva e intagliate da Luca Carlevarijs”. Carlevarijs era nato a Gorizia nel 1663 e si sposta a Venezia verso le fine del secolo sotto la protezione degli Zenobio per i quali eseguì alcune decorazioni del palazzo a i Carmini. Era un artista ma anche un matematico e un esperto di prospettiva e architettura, formazione che influenzerà in modo sostanziale il suo lavoro. Nel frontespizio delle Fabbriche si legge una sorta di dichiarazione programmatica: la racconta dovrà servire a rendere più facili alla notizia de’ paesi stranieri le venete magnificenze; sono gli anni del grand tour nei quali aumenta considerevolmente la domanda di preziosi souvenir da parte dei ricchi clienti che si potevano permettere di viaggiare. Si tratta di un momento importantissimo nella storia della produzione di vedute a stampa della città di Venezia. E’ l’atto di nascita del vedutismo. L’album di centotre vedute, peraltro rarissimo nel mercato antiquario nella sua prima edizione, aprirà la strada per tutta una serie di produzioni successive. Pensiamo al Coronelli con le sue Singolarità di Venezia, il gran teatro di Venezia di Domenico Lovisa, a Michele Marieschi e Canaletto, che di Carlevarijs fu allievo, per citare i maggiori artisti perlomeno nel campo dell’incisione.

Si tratta di una raccolta di vendute con uno stile nitido, preciso e fortemente riconoscibile in cui è notevole la presenza umana con tutta una teoria di macchiette e personaggi che ben rendono l’atmosfera veneziana dell’epoca. L’album ebbe un grande successo commerciale e fu ripubblicato più volte dopo la morte del Carlevarijs. Le edizioni tarde sono molto più comuni sul mercato antiquario e si trovano con valutazioni di gran lunga inferiori. Un ottimo primo stato (negli ultimi vent’anni ne ho visto un solo esemplare ed è stato acquisto da noi) ha un valore commerciale intorno ai 60 – 70.000 euro.

Approfitto in questa circostanza per aprire una parentesi sul concetto di stato dell’incisione. Lo stato fa riferimento alle diverse fasi di rielaborazione della lastra. Il primo stato è la prima tiratura con il rame (o il legno) nella prima elaborazione dell’artista. accadeva spesso che l’artista rimaneggiasse le lastre per migliorare gli effetti grafici nell’incisione ma accadeva anche che successivamente alla morte dell’artista le lastre venissero per esempio cedute a nuovi editori che le rimaneggiavano a volte anche per superare problemi connessi all’usura delle stesse. E’ molto frequente tra il primo stato e i successivi l’aggiunta di una numerazione progressiva.

E’ questo il caso del Carlevarijs. Solo il primo stato è privo del numero ed, in verità, ad eccezione della differenza di qualità della carta, della nitidezza dell’impressione e di minime variazioni nell’inciso in poche incisioni, è l’unico modo che ci permette di distinguere il primo stato dai successivi.

L’identificazione degli stati è un problema non sempre di semplice soluzione. Sono fondamentali a questo proposito alcune pubblicazioni in cui vengono identificate le differenze a volte minime tra uno stato e l’altro.

Il settecento è il secolo del rame. La xilografia viene abbandonata pressoché totalmente (anche se andrebbero citati i pregevoli chiaroscuri di Giovan Battista Jackson e quelli di Anton Maria Zanetti il Vecchio) per essere sostituita dal rame che viene inciso a bulino e con la tecnica dell’acquaforte. Nella tecnica all’acquaforte la lastra di rame veniva o incisa direttamente oppure cosparsa di una cera sulla quale veniva tracciato il disegno. Successivamente la lastra veniva immersa in un acido che corrodeva solo le parti dove la cera era stata rimossa. A volte la tecnica era mista quindi si usava sia acquaforte che bulino per rifinire o addirittura la puntasecca con l’utilizzo di un punteruolo che permetteva l’incisione di segni molto sottili e precisi. Nell’ottocento il rame verrà poi sostituito dalla tecnica litografica che meglio si adatterà alle esigenze di un mondo completamente cambiato e rivolto verso processi industriali piuttosto che artigianali.

Nel 1709 -10 il grande cartografo Coronelli produce il volume Singolarità di Venezia per i tipi dell’accademia degli Argonauti. Una ricchissima raccolta di incisioni di modesta qualità ma dal grande valore documentario. Alcuni esemplari arrivano a contenere fino a 500 e anche più incisioni che rappresentano ogni angolo della città e della laguna. Molte delle incisioni presenti nelle singolarità di Venezia ricalcano fedelmente quelle di Carlevarijs che certamente col Coronelli ebbe rapporti, in certi casi anche imitandone lo stile ma con una resa piuttosto rudimentale. Il Coronelli, geniale cartografo Veneziano, è un fulgido esempio di scaltro imprenditore nel panorama degli editori veneziani. La sua enorme produzione, che spazia dagli atlanti, ai globi allora richiesti in tutta Europa (famosissimi i globi del diametro di quasi 4 metri prodotti per luigi XIV e oggi conservati alla BNF), alle raccolte di stampe sui paesi del mondo, a imprese che avevano già pretese enciclopediche, alcune mai portate a termine, dimostrano una capacità creativa e produttiva vulcanica. La caratteristica più peculiare del rapporto di noi antiquari con le opere di Coronelli è il problema della gestione della difformità tra esemplari. i volumi contengono un numero variabile di stampe il che rende la collazione, (cioè la fondamentale verifica della completezza dell’opera di ogni sua parte) un esercizio approssimativo. Parliamo di esemplari più o meno ricchi (riferendoci fondamentalmente all’opera di Ermanno Armao, 1944) e in base a ciò decidiamo al valutazione di mercato. E’ interessante osservare, che a quei tempi, la stampa veniva venduta raccolta in album e l’album era il prodotto destinato alla clientela che poteva permetterselo fatta di ricchi viaggiatori o personaggi di primo piano della nobiltà e del commercio. Sembra poco probabile che all’epoca questa ricca clientela incorniciasse delle stampe come facciamo noi oggi per decorare i loro palazzi. Probabilmente la difformità degli esemplari è data dal fatto che venivano in qualche modo composti su richiesta. Magari con l’inserimento di stampe più o meno costose.

Qualche anno più tardi, nel 1717, con un’importante campagna pubblicitaria, esce per i tipi di Domenico Lovisa, Librario Sul Ponte di Rialto, il volume “Il gran teatro di Venezia ovvero raccolta delle principali vedute e pitture che in essa si contengono”. Opera imponente, in due grossi volumi, uno appunto dedicato alle vedute di Venezia e uno alle pitture. Poco si sa intorno alla genesi di questi volumi. Sappiamo che vi lavorarono importanti incisioni come i fratelli Zucchi ma non è noto chi tracciò i particolarissimi disegni da cui le incisioni saranno tratte. il Gran Teatro (o semplicemente Lovisa, come viene chiamato nel mercato antiquario) è un’opera straordinaria dal punto di vista documentaristico. Ha goduto di fortune alterne nel mercato antiquario ed è sempre stata considerata un’opera i secondo piano per il suo stile naïve. In realtà personalmente credo che il Lovisa sia il più grande documento di vita quotidiana all’inizio del settecento giunto ai nostri tempi. Le vedute hanno uno spiccato intento scenografico, con stravolgimento delle prospettive e delle proporzioni. I palazzi sono spesso rappresentanti in modo estremamente impreciso e alcuni fogli hanno un’impronta di ingenuità veramente notevole. Ma la rappresentazione della vita quotidiana attraverso una miriade di piccole figurine intente a svolgere il loro lavoro quotidiano, a scaricare merci dalle loro imbarcazioni, a passeggiare i cani, a urinare nell’angolo di un campo o a defecare in un canale, ci danno una rappresentazione unica della Venezia di un tempo. Anche in questo caso abbiamo una frequente difformità tra i vari esemplari che possiamo definire più o meno ricchi il che fa pensare ad una composizione del volume personalizzata a seconda della capacità di spesa del committente. Un po’ come accadeva per le opere di Coronelli. Domenico Lovisa peraltro utilizzò una carta di grandissima qualità per la sua opera, bianca e spessa che ha permesso a molti esemplari di arrivare ad oggi in superbe condizioni. Un esemplare del Lovisa, completo dei due volumi e in bella legatura direi che oggi possa attestarsi intorno ai 50.000 euro. Anche se ad un asta di Sotheby’s di qualche anno fa ho visto una copia superare i 100.000.

Voglio parlare ora del caso interessantissimo di Antonio Canal e del suo rapporto con l’arte incisoria, vicenda affrontata in modo molto approfondito da Federico Montecuccoli degli Erri nel suo volume Canaletto Incisore pubblicato dall’Istituto Veneto nel 2005. Colgo l’occasione per ricordare la figura di Federico Montecuccoli degli Erri, che ho avuto al fortuna di frequentare come cliente e mentore. Per un mercante i clienti sono una risorsa essenziale e da loro viene la formazione e lo stimolo. Il volume di Montecuccoli non solo affronta con una profondità senza precedenti il lavoro di Canaletto nel campo dell’incisione ma rappresenta un manuale per comprendere in generale il mondo dell’incisione, le tecniche, la carta, le filigrane, gli stati. Centrale nel lavoro di Montecuccoli è poi lo studio della genesi dei grandi lavori a stampa. Perché gli artisti si avvicinavano alla stampa e quali fossero le dinamiche commerciali dei loro prodotti.

Il caso dei Canaletto è estremamente interessante per comprendere alcune dinamiche del mercato delle stampe. Il suo primo approccio con l’incisione avviene per interposta persona. E’ Antonio Visentini, architetto del console inglese a Venezia Joseph Smith, che incide nel 1742 una serie di 38 incisioni riproducendo i dipinti di Canaletto. Si tratta di una serie celeberrima di incisioni caratterizzate da un tratto piuttosto schematico tendente soprattutto alla resa perfetta delle architetture e delle prospettive. Modesto è il valore evocativo dal punto di vista artistico elevato invece il valore documentaristico. La produzione di questo mitico album avviene nella stamperia Pasquali, grande editore settecentesco, tra i più raffinati dell’epoca e in strettissime relazioni, anche societarie, col console inglese. L’aspetto interessante della produzione di questo album sta nella motivazione che sta dietro la sua produzione. L’album costituiva una sorta di brochure pubblicitaria del lavoro di Canaletto che il console utilizzava durante i suoi soggiorni inglesi per proporre le prestazioni del Canaletto ai suoi facoltosi clienti.

Secondo Montecuccoli Canaletto partecipò direttamente alla produzione della seconda edizione dell’album. Ciò spiegherebbe l’arricchimento delle incisioni con alcune “strategie” per rendere le immagini più efficaci. Per esempio le acque o le ombre. Effettivamente alcune di queste strategie sembrano ricordare il segno vibrante delle incisioni canalettiane.

Potrebbe essere stato questa la prima occasione di approccio all’arte incisioni da parte del Canaletto.

Negli anni successivi Canaletto produrrà una serie di ventuno incisioni per la maggior parte rappresentanti paesaggi della campagna veneta e capricci composti da architetture reali affiancate da figure d’invenzione. Pochissime e di piccolo formato le vedute di Venezia, molte le vedute del Brenta e delle sue ville o dell’area Padovana come quella celeberrima del Parto della Valle in due fogli e capricci superbi come il Portico con Lanterna.

Sorge spontanea la domanda di come mai un’artista del successo di Canaletto (non riusciva a soddisfare le numerosissime richieste e c’era sempre una lunga lista d’attesa per le sue opere), pagatissimo (anche se a giudicare dalla modestia del suo testamento la maggior parte dei profitti dovevano andare nelle tasche del console), dovesse impegnare il suo prezioso tempo nella produzione di stampe che dal punto di vista commerciale difficilmente avrebbero reso molto. Si è ipotizzato che fosse stato lo stesso console a spingere per questa produzione per motivi strettamente commerciali. Da parte mia sono propenso a pensare che Canaletto fosse attratto dall’incisione come tecnica di espressione. E credo così sia stato per molti artisti del passato e anche dell’età moderna. Nel mio mestiere di gallerista contemporaneo, avendo a che fare con i pittori, vedo che quasi tutti subiscono il fascino dell’incisione e esperiscono almeno qualche tentativo di esprimersi in quell’arte dalla quale sono attratti come mezzo che offre diverse possibilità rispetto alla pittura, come una sintesi del loro lavoro con i colori. E’ in certo senso un modo per andare all’essenza della creatività quel creare con pochi segni e con il solo nero.

Tra l’altro il formidabile e originalissimo stile espresso da Canaletto nelle sue incisioni,, prova secondo me l’esistenza di una spinta creativa autonoma, non la semplice esecuzione di un lavoro su commissione da parte del suo mecenate (ma forse potremmo più adeguatamente chiamalo mercante).

L’album delle ventuno incisioni di Canaletto, suite di straordinaria bellezza e di infinito virtuosismo, è oggi certamente la raccolta di incisioni veneziane più rara nel mercato antiquario Per un primo stato in perfetta conservazione e legatura originale penso si potrebbe facilmente arrivare anche ad un prezzo di un milione di euro.

Un’ altro grande protagonista del mercato delle stampe nel diciottesimo secolo è Michele Marieschi. Marieschi pubblica un album di 24 vedute nel 1741. Morirà nel ’43 a soli 33 anni lasciando oltre ai numerosi dipinti quello che forse si può definire con il più bell’album di vedute Venezia settecentesche. Si tratta di incisioni superbe rese con un tratto complesso, linee incrociate per la resa di forti effetti chiaroscurali, fortemente evocative e con un atmosfere vibranti e drammatiche. Si potrebbe dire che le incisioni di Marieschi esprimano la quintessenza del settecento veneziano. La celeberrima veduta della facciata della chiesa dei Frari con il ponte antistante senza parapetti e la figura leggiadra che lo attraversa rappresentano un archetipo dell’immaginario settecentesco veneziano. Le incisioni di Marieschi godono in epoca moderna di un grande successo commerciale. Sono molto ricercate per il loro grande impatto decorativo e, soprattutto per i primi stati, mantengono quotazioni piuttosto elevate. Restano tra le incisioni con il più potente impatto decorativo che non possono mancare nell’arredamento di un palazzo veneziano ma sono anche tra le più richieste dai nostri clienti internazionali che vogliono un pezzetto di Venezia nelle loro case in giro per il mondo.

Veniamo ora ad un grandissimo protagonista dell’arte incisoria del diciottesimo secolo. Marco Alvise Pitteri un artista che personalmente ritengo uno dei più geniali dell’epoca. Aldo Ravà, che in certo senso può essere definito come lo scopritore di Pitteri, lo definì forse un po’ enfaticamente, ma in un certo senso capisco il suo entusiasmo, come uno dei più grandi incisori mai esistiti.

Nella prefazione alla sua commedia il Frappatore Carlo Goldoni, che di Pitteri era amico, scrive: “chi è che amante del disegno non ami provvedersi delle rinomate incisioni vostre non sappia di avere in casa il più bell’ornamento di uno studio, di una camera, di un ritiro?

Queste parole, oltre a darci elementi di valutazione sulla notorietà del Pitteri nel panorama veneziano settecentesco, ci parlano esplicitamente per la prima volta di un utilizzo delle stampe come oggetti decorativi, da incorniciare e appendere nelle case. E’ una novità sostanziale. Perché fino ad allora, come ho detto precedentemente, le stampe venivano prevalentemente conservate dai collezionisti all’interno di cartelle e mai esposte. La decorazione veniva quindi fino ad allora fondamentalmente demandata alla pittura. Forse, le incisioni del Pitteri, con i loro potenti effetti chiaruscurali, l’intensità tale da dare talvolta addirittura l’illusione del colore, ben si prestavano ad essere incorniciate e appese. Pensiamo alla serie degli apostoli ma, soprattutto, a quei formidabili fogli di ritratti di personaggi importanti (notissimo quello del Goldoni stesso e quello straordinario del maresciallo Von Schulenburg) o tutti quei ritratti di giovani e bambini, come i meravigliosi bambino con la pera e bambina con la ciambella, autentici capolavori dalla luminosità e il fascino sorprendenti.

Pitteri fu un uomo mite e gentile e visse sempre a Venezia nella contrada di San Sebastiano, dove nacque nel 1702. Il suo buon carattere è testimoniato dai numerosi cordiali rapporti con i colleghi del tempo. Soprattutto la relazione di amicizia e di lavoro col pittore Giovan Battista Piazzetta. L’amico di una vita, che fu suo testimone di nozze e tenne a battesimo due dei suoi quattro figli. Ma anche l’artista che Pitteri seppe meglio interpretare e valorizzare con l’acquaforte.

La tecnica di Pitteri era straordinaria e fortemente innovativa. Una serie di linee parallele più o meno ravvicinate e rarissimi incroci che addirittura spariscono nelle sue incisioni più mature. La sua tecnica discende certamente da quella del famoso incisore francese Claude Mellan, quello che realizzò la straordinaria incisione del volto di Cristo con un’unica linea a spirale il cui centro è sulla punta del naso del Cristo.

Oltre alla proficua e prolifica collaborazione col Piazzetta importantissimo è per Pitteri l’incontro con Pietro Longhi. L’interpretazione che il Pitteri da delle tipiche scenette di genere del Longhi è talmente efficace che direi in molti casi migliora e nobilita la pittura originale. Ma è in un soggetto in particolare che le doti del Pitteri magnificano con inusuale efficacia i dipinti del Longhi: è la serie delle sei tavole della Caccia in Valle, tratta dei dipinti oggi nella collezione della Fondazione Querini. Si tratta di sei fogli imperiali incisi con una perizia formidabile che trasmette una resa pittorica fatta di chiaroscuri che creano immagini tra le più rappresentative del settecento veneziano. Anche per l’argomento trattato, la caccia in valle, attività peculiare dell’ambiente nobiliare veneziano. Personalmente li ritengo uno dei più grandi capolavori dell’arte incisoria veneziana del diciottesimo secolo. Ma sappiamo che sono di parte, un po’ come il Ravà.

Con l’inizio del diciannovesimo secolo e l’avvento della economia industriale il mondo dell’incisione come l’abbiamo finora descritto con le sue vette artistiche straordinarie, i Canaletto, I Tiepolo, I Marieschi non esiste più. La carta smette di profumare e non ha più la caratteristica vergellatura. Dalla carta di stracci si passa alla carta di cellulosa prodotta industrialmente. Un prodotto di qualità estremamente inferiore, molto più deperibile, che si ossida facilmente, teme l’umidità.

L’incisione diventa quasi totalmente litografia. A Venezia sorgono numerosi stabilimenti litografici, Kier, Cohen, Kirchmayr, l’intento è quello di produrre immagini in un epoca in cui non esistevano ancora gli strumenti offerti dalla fotografia, che arriveranno qualche decennio più tardi con Carlo Naya e altri importanti fotografi che avranno la loro sede operativa in laguna. La produzione di litografie risponde quindi ad una domanda di immagini, sia ad uso turistico sia per esempio ad uso documentaristico (si riproducono per esempio anche le opere d’arte ad uso degli studiosi). Il tutto eseguito con una tensione verso la rappresentazione del vero più che dell’interpretazione artistica.

E’ immensa la produzione in questo periodo di album anche molto corposi dal titolo Venezia pittoresca, i Palazzi di Venezia, le chiese di Venezia, spesso con vivaci coloriture eseguite a tempera da abilissimi artigiani. Prodotti che rispondevano fondamentalmente alle richieste dei viaggiatori o rappresentavano comunque beni di lusso che arricchivano le collezioni dei veneziani più facoltosi.

C’è un artista che mi sembra faccia da trait d’union tra settecento e ottocento nel mondo dell’incisione e si distingua nel panorama di inizio ottocento per raffinatezza e originalità e anche per carattere: Antonio Lazzari, nato nel 1798, architetto. Dagli anni venti dell’ottocento si dedica da autodidatta all’incisione. Da vita ad una notevole produzione di piccoli album di vedute veneziane (uno in particolare composto da 90 vedute è veramente un piccolo capolavoro oltre che un formidabile documento della Venezia di inizio ottocento) realizzati con la tecnica dell’acquatinta, una tecnica che permette di aumentare notevolmente gli effetti chiaroscurali dell’acquaforte. Si pensi per esempio alla serie di Los caprichos di Goya. Il nostro Lazzari pagò con la malattia e la morte la sua passione divorante per l’incisione e morì a soli 36 anni a causa della progressiva intossicazione polmonare causata dagli acidi usati per la morsura delle lastre.

Bisogna attendere il novecento perché l’arte incisoria veneziana ritrovi il suo virtuosismo antico. Va considerato che a partire dalla seconda metà dell’ottocento la fotografia assorbe in parte la domanda di vedute e verso la fine del secolo addirittura il libraio antiquario editore Ferdinando Ongania comincia ad utilizzare la tecnica dell’eliogravure per riprodurre in serie le fotografie. Nel 1895 pubblica la notissima raccolta calli e canali in Venezia e calli e canali i sole. una meravigliosa raccolta di vedute fotografiche di Venezia, che la mia casa editrice Lineadacqua ha ristampato nel 2011 in occasione del centenario della morte di Ongania. Calli e canali è in un certo senso il prodotto di fine ottocento corrispondente per genesi e finalità agli album di incisioni settecentesche. E tutto sommato risponde alle esigenze della stessa clientela, ricchi viaggiatori che erano però notevolmente aumentati di numero.

Alla fine dell’ottocento, circoscrivendo sempre l’argomento all’ambito veneziano la produzione di incisioni artistiche è dominata dagli incisori anglosassoni che visitano la città, la amano e la rappresentano non più con intento strettamente “descrittivo” ma con rinnovata ricerca artistica raggiungendo livelli di virtuosismo elevatissimi. Sono gli anni di James Whistler, Joseph Pennel, James McBey. Incisori raffinati che producono fogli meravigliosi in cui con formidabile minimalismo, con tratti appena accennati riescono ad ottenere atmosfere e luminosità sorprendenti.

Luca Zentilini, Donatella Calabi e Giulio Manieri Elia, foto Hélène Sadaune

In questi anni sia la produzione che il mercato sono dominate da inglesi e americani che amano l’incisione differentemente da quanto per esempio si sperimenta nel mercato italiano nel quale, in generale, l’incisione sembra destare minor interesse se non per una piccola nicchia di amatori.

James Whistler arrivò a Venezia nel 1878 dove avrebbe dovuto produrre dodici acqueforti su commissione della Fine Arts Society di Londra. Doveva restare solo un mese in laguna ma totalmente ammaliato dalle veneziane bellezze rimase ben quattordici mesi e produsse cinquanta acqueforti. Arrivava a Venezia dopo la dura polemica con John Ruskin. Polemica che finì in tribunale perché Whistler accusò Ruskin di diffamazione dopo che esso aveva dichiarato a proposito del dipinto “Notturno in nero e oro”, capolavoro che anticipava di trent’anni la pittura astratta, che avrebbe potuto essere anche esposto capovolto tanto era incomprensibile e che non era ammissibile chiedere del denaro per rovesciare un barattolo di vernice in faccia al pubblico. Le incisioni di Whistler rappresentano vedute minime della città, spesso di canali e angoli nascosti, scorci lagunari, ingressi di palazzi e sono caratterizzate da un segno fine e minimalista capace di esprimere in modo superbo le atmosfere veneziane tanto da far divenire queste opere una specie di archetipo nella rappresentazione veneziana ottocentesca che influenzerà l’intero mondo dell’arte. Va rimarcato che in questi anni la produzione di incisioni a livello locale continua a limitarsi alle litografie, stampe con intento documentaristico o decorativo, specialmente nelle versioni colorate a mano. Continuano ad andare di grand moda le vedute delle principali zone della città, i panorami, le piante della città e le vedute a volo d’uccello. Vanno segnalati incisori attivi a Venezia come Chevalier o Pividor che raggiunsero comunque elevati livelli di virtuosismo nelle rappresentazioni della città.

E’ da notare che la produzione di questi grandi artisti era comunque caratterizzata da piccole tirature (si parla anche di poche decine di fogli) quindi , in ogni caso parliamo di un mercato totalmente diverso da quello preottocentesco in cui le tirature delle incisioni degli artisti più importanti avevano circolazioni ben superiori.

Un’artista che segna in modo indelebile la storia dell’incisione mondiale e che lavora moltissimo a Venezia all’inizio del secolo (ma è estremamente prolifico, anche Londra Istanbul e Parigi per citare il luoghi principali) è l’inglese (in realtà belga naturalizzato inglese) Frank Brangwyn. Artista le cui incisioni si compravano fino a qualche anno fa a poche centinaia di euro. Valutazioni ben diverse rispetto a quelle dei fogli di Whistler. Oggi sono divenute via via più rare e difficili da reperire e più apprezzate anche se non raggiungono assolutamente le quotazioni i Whistler. Brangwyn arriva a Venezia nel 1901 esponendo sue incisioni alla Biennale. Nel 1905 progetta il padiglione inglese, continua a disporre diviene membro della giuria selezionatrice e addirittura vince nel 1907 la medaglia d’oro con la celeberrima incisione “La Salute”. Un foglio immenso (circa 80×60 cm) di un’intensità rara in cui si vede il retro della basilica con le Zattere i i bragozzi ormeggiati. Brangwyn influenzerà un’intera generazione di artisti anche Veneziani come l’incisore Giovanni Giuliani (Venezia 1893 – Mogliano Veneto 1965) altro artista intensissimo i cui fogli si rinvengono raramente sul mercato antiquario anche Guglielmo Baldassini del quale ricordo la splendida incisione del Mulino Stucky, palesemente inspirata all’opera di Brangwyn.

All’inizio del ventesimo secolo, con l’arrivo a Venezia da Udine dell’artista Fabio Mauroner (Udine 1884 Venezia 1948). si risveglia a Venezia un interesse per l’incisione artistica. Tra l’altro giova ricordare che Mauroner fu lo scopritore di Luca Carlevarijs sul quale pubblicò nel 1938 una corposa monografia. Il Mauroner, che prese casa a San Trovaso, nella fondamenta Ognissanti, adiacente alla casa del pittore Italico Brass, fu artista raffinatissimo. Importante il suo rapporto quasi fraterno con Modigliani. I due si frequentavano nello studio del Modigliani a San Sebastiano e si fecero reciprocamente il ritratto. La loro stima e amicizia è testimoniata da numerose lettere. Le incisioni di Mauroner sono abbastanza rare sul mercato antiquario per le piccole o piccolissime tirature che ne faceva, furono destinate prevalentemente al mercato americano che per sensibilità, come abbiamo visto, era più incline a comprendere l’incisione come mezzo di espressione artistico.

Posso testimoniare personalmente, come collezionista dell’opera di Mauroner, di aver rinvenuto la quasi totalità delle sue incisioni negli Stati Uniti. Una volta addirittura ho avuto al fortuna di rinvenire il fondo di un mercante con numerose copie della stessa incisione in perfetto stato di conservazione. Vi sono dei soggetti come “il ponte dei morti” (soggetto carissimo anche al pittore Italico Brass che sicuramente il Mauroner frequentava), “il ponte della salute”, “il ponte del redentore”, di grandissima modernità, più vicine come stile ai Whistler che a Carlevarijs (che invece troviamo in alcun vedute piuttosto impostate). Ci sono poi splendide vedute come “la Vida”, l’osteria di campo San Giacomo da l’Orio. Ma amo soprattutto le rarissime “Torcello” e soprattutto “San Francesco del Deserto” in cui con scarni tratteggi e ampie zone di bianco evoca i cipressi e il riflesso sulla laguna.

Mauroner non gode della fama e della notorietà che meriterebbe.

Dopo questa panoramica sulla produzione sul mercato delle stampe veneziane (panoramica naturalmente lacunosa avendo dovuto sintetizzare un argomento infinito facendo scelte tremende come quelle di omettere dalla narrazione i due Tiepolo) vorrei fornirvi alcune nozioni di tipo pratico che riguardano il collezionismo delle stampe. Qualche informazione pratica e qualche curiosità sulle dinamiche del mercato contemporaneo, sulla conservazione a altri aspetti pratici.

Comprare un’incisione di un grande maestro come Canaletto o Tiepolo offre la possibilità di portarsi a casa e godersi l’opera di un artista importante del quale non ci potremmo mai permettere una pittura. Penso al piacere di possedere un capriccio o una delle incisioni dalla serie della Fuga in Egitto di Giambattista Tiepolo, magari nella sua prima tiratura, conservata in una bella cornice d’epoca. Un desiderio che possiamo accontentare con una spesa intorno ai cinquemila euro conto i milioni necessari per una tela dello stesso autore.

Un’incisione di un grande maestro è anche un investimento sicuro nel lungo periodo. Il valore delle incisioni di qualità è sempre salito nel tempo. Senza i balzi formidabili dell’arte contemporanea (ma anche senza i tracolli spaventosi tipici di quel mercato). E’ un tipo di investimento più colto più intimo di quanto lo sia mettersi una qualche icona contemporanea appesa la muro.

Anche il mercato delle stampe (come tutto l’antiquariato) è soggetto a moda. Possiamo parlare di una sostanziale tenuta dei prezzi nel lungo periodo. Anche se vediamo a volte oscillazioni importanti come quelle che abbiamo visto durante la crisi finanziaria del 2007.

Un fanone interessante di quella crisi è il forte deprezzamento dei Piranesi. Autore molto presente nel mercato US che a causa della crisi si riversò massivamente sul mercato a causa dei numerosi fallimenti e tentatiti di recuperare liquidità. Oggi Piranesi è ritornato uno degli autori più ricercati. Le quotazioni sono elevate. Specialmente per le Carceri. Alcuni soggetti, come per esempio le stampe religiose, e qui penso per esempio agli apostoli o ai sacramenti di Marco Pitteri, serie di grande raffinatezza e qualità ma poco aderenti ai gusti contemporanei Sostanziale tenuta delle stampe di qualità nel tempo. Aumento dei prezzi progressivo e lineare. Grande richiesta di stampe di grandi maestri. Importanza della qualità degli esemplari come in tutto il mercato d’antiquariato. Meglio possedere un Tiepolo straordinario che 4 Tiepolo mediocri. Le stampe restano un buon investimento. Al quale va aggiunto il valore del godimento.

Ultima nota la conservazione: le stampe temono la luce. La luce diretta del sole è addirittura devastante e crea danni irreparabili. Le stampe vanno quindi appese in luoghi ombreggiati anche lontane da fonti artificiali dirette di intensità rilevante. La luce ingiallisce la carta (fenomeno reversibile con restauro) ma sbiadisce gli inchiostri. Fenomeno non reversibile e che riduce vertiginosamente il valore oltre che la bellezza dell’incisione.

I parassiti sono piccoli insetti che si nutrono di carta. Fare attenzione a piccoli fori. In caso rivolgersi immediatamente ad un restauratore.

Il foxing, ovvero macchie più o meno estese prevalentemente di color ruggine, sono ossidazioni della carta. Sono molto legate al tipo di carta. La carta preottocentesca si ossida molto più raramente. A tal proposito fare estrema attenzione ai passe-partout. Se sono scuri, marroni, significa che sono intrisi di acido. L’acido viene trasmesso alla carta delle incisioni con esiti anche irreparabili.

Altro problema molto grave posso essere le muffe. Soprattutto quelle di colore violaceo che possono aggredire le fibre della carta e distruggerla. In questo caso gli interventi di restauro possono essere molto difficili e semplicemente bloccare il processo. Ma i danni restano.

In conclusione comunque posso dire che la manutenzione di una stampa sia prettoocentesca che moderna implica poche attenzioni a fronte della grande soddisfazione e piacere che donano il loro possesso. Questo, unito come dicevo prima a costi più affrontabili rispetto alla pittura, continua a mantenere il mercato vitale. Ma forse se, come dicevo poco fa, gli artisti hanno una innata attrazione verso questo strumento di espresso, è anche vero che c’è un pubblico che si ritrova nel genere di esperienza estetica generata dalla stampa. C’è qualcosa nella disarmante semplicità di un foglio di James Whistler o nelle vibrazioni nevrotiche di un foglio di Canaletto, che non troveremo mai in nessun dipinto”.

©Claudia Rossini

Luca Zentilini, fondatore ed amministratore delegato del Gruppo Lineadacqua Edizioni Eventi e della Libreria antiquaria Linea d’Acqua, Calle della Mandola, San Marco 3717/d – 30124 Venezia

https://www.lineadacqua.com/

Un ciclo di interessantissime conferenze gratuite sono organizzate dall’ Associazione Progetto Rialto in collaborazione con le Gallerie dell’Accademia. Per saperne di più e prendere conoscenza del programma:

https://www.progettorialto.org/

https://www.progettorialto.org/attivita/eventi-23/

Pubblicato da Hélène Sadaune

Master II d'Histoire Moderne de la Sorbonne Paris IV, j'ai travaillé pendant plus de 20 ans pour la C.E. Résidente depuis plus de trente ans à Venise, guide conférencière à Paris et Venise, je suis une passionnée de la civilisation vénitienne et de cette ville hors-norme. Comptez sur moi pour vous tenir informé!

error: You are not allowed to print preview this page, Thank you