Venezia e i luoghi della musica di Stefano Nardelli

Come fondatrice e direttrice del blog di Luxeavenise, dedicato alla vita culturale veneziana, ringrazio sentitamente il musicologo veneziano Stefano Nardelli e la Biennale di Venezia per avermi concesso di pubblicare i passaggi principali di questo stupendo articolo dello stimatissimo collega sui luoghi della musica a Venezia, che ritengo interessantissimo sia da un punto di vista storico che musicale. Un immenso grazie all’autore ed alla Biennale di Venezia per questo regalo. Hélène Sadaune


Teatro La Fenice nel 1829

La città di Venezia conta sette Teatri. Quella Repubblica non s’è mai impegnata a farne uno pubblico degno della sua grandezza. Quelli, che vi sono, furono casualmente eretti da famiglie patrizie; e per lo più sopra le ceneri di case incendiate, o pure sulle rovine di qualche antico Edificio. Quindi è che tutte sono tramezzo di case, e strade le più abbiette, e ristrette di quella Città. Tutta la loro magnificenza è ristretta nell’interno. Quella Metropoli, che fino dai tempi più remoti ebbe sommo trasporto per gli spettacoli, con pompa, e celebrità delle Compagnie degli Accesi, Sempiterni, e Calza celebrati, non è a migliore condizione delle altre città d’Italia, perché sono tutti di cattiva figura”.1 È la descrizione della condizione dei teatri veneziani fatta dal teorico dell’architettura Francesco Milizia nel suo trattatello Del Teatro datato 1773. Si tratta di una fotografia piuttosto impressionante dello stato precario ed effimero degli edifici proliferati a seguito di una delle invenzioni più rivoluzionarie nell’Europa del XVII secolo: l’opera in musica a pagamento. E dove se non a Venezia? La città non è retta da un principe o da un monarca. Non esiste una corte. Il potere è saldamente in mano a un’aristocrazia mercantile, che ha costruito la propria fortuna sul commercio e che vede nell’opera, certo, l’occasione di aumentare il proprio prestigio e quello della Repubblica che governa ma soprattutto un’opportunità, fino ad allora non sfruttata, di realizzare guadagni.

Non mancavano certo i teatri in città e anche con firme di importanti architetti dell’epoca (Sansovino, Palladio, Vasari). Esisteva anche un teatro nella contrada di San Cassiano già nell’ultimi decenni del 1500, più volte ricostruito dopo i frequenti incendi. Nel 1636 i fratelli Ettore e Francesco Tron manifestano l’intenzione di ricostruire il Teatro di San Cassiano e di farne un “theatro de musica”, il primo destinato esclusivamente a un genere nato nemmeno quarant’anni prima alla corte fiorentina con L’Euridice di Jacopo Peri e diffuso esclusivamente nelle corti del Nord Italia (L’Orfeo di Claudio Monteverdi nasce per volontà di Vincenzo Gonzaga al Palazzo Ducale di Mantova nel 1607) e nei palazzi nobiliari della Roma di papa Urbano VIII.

La rivoluzione avviene nei primi mesi del 1637. Al San Cassiano si inaugura con L’Andromeda di Benedetto Ferrari e le musiche di Francesco Manelli. Per la prima volta nella storia, il pubblico può accedere comprando un biglietto. È una pratica destinata a dilagare in tutto il pianeta, imponendosi ovunque e radicandosi nel corso del tempo come modalità ordinaria per la fruizione e l’accesso a spettacoli di ogni tipo.

A Venezia, la misura del successo di questa trovata commerciale è data dalla nascita di una vera e propria economia che si sviluppa attorno al fenomeno “dramma in musica”. In una sessantina d’anni sono oltre 350 i drammi in musica andati in scena nei teatri veneziani scritti dai compositori più famosi e eseguiti dai cantanti più eccellenti e virtuosi. Per i musicisti già attivi in accademie, istituzioni religiose (la Cappella Marciana in primis ma non solo) quando non in concerti privati finanziati dai patrizi veneziani, si aprono nuove possibilità di impiego. Lo stesso Claudio Monteverdi, severo maestro di cappella della Basilica di San Marco e dunque incaricato di comporre musica religiosa, non disdegna commissioni di teatri o di privati cittadini. Ma lo stesso vale anche per tutti i mestieri legati all’attività teatrale e dunque per poeti, falegnami, pittori, cantanti, danzatori e per coloro dediti a tenere la contabilità: tutti partecipano alla fortuna della nuova fabbrica dello spettacolo pubblico a pagamento.

Lo sfruttamento commerciale e la necessità di monetizzare rapidamente l’investimento porta naturalmente con sé anche pratiche non esattamente virtuose. Se alla corte dei Gonzaga nel 1608 per L’Arianna (oggi perduta) a Claudio Monteverdi e ai suoi musicisti vennero concessi ben cinque mesi di prove, nei teatri veneziani si concedevano di rado più di venti giorni per lo studio e l’allestimento di lavori nuovi. È possibile che il livello professionale di cantanti, strumentisti e tecnici fosse elevato, ma non sembra lontano dalla realtà ritenere che la cura delle messe in scena degli spettacoli fosse piuttosto approssimativa, specie per quanto attiene la cura del gesto scenico dei cantanti.

Ballo al Teatro Grimani

D’altra parte, come testimonia il Milizia, nemmeno ai contenitori per i prodotti di questa strana fabbrica si dedicava troppa cura, come si può dedurre dalla proliferazione di edifici destinati a drammi in musica e commedia a partire dalla metà del XVII secolo e la loro durata piuttosto limitata, se paragonata a quella degli edifici teatrali classici ma anche a quelli costruiti nei secoli successivi, e specialmente nel XIX secolo. Entro la fine del XVII secolo si contano non meno di sedici teatri in attività e qualcuno sostiene addirittura essere diciotto. Si impone anche un modello costruttivo, il cosiddetto “teatro all’italiana”, pensato per ospitare un pubblico formato da rappresentanti di ceti sociali diversi: pianta a ferro di cavallo e molteplici file di palchi privati sovrapposte per consentire a tutti di godere degli spettacoli e, allo stesso tempo, impedendo improprie commistioni fra nobiltà e volgo. Il palcoscenico diventa un luogo di viaggi immaginifici e meraviglie visive grazie a sapienti scenografi e alle nuove macchine. Giacomo Torelli, il “grande stregone”, trasporta la sapienza industriale dei meccanismi dell’artiglieria navali dell’Arsenale, dove è stato ingegnere navale, in macchine capaci di aprire mondi nuovi a vista con semplici operazioni meccaniche che producono stupore immenso nel pubblico del Teatro Novissimo.

Come le galere che uscivano dall’Arsenale, anche i teatri non erano edifici fatti per resistere ai secoli ma buoni per rientrare dei capitali investiti e, magari, realizzare qualche profitto. Lo conferma ancora una volta il Milizia: “Se gli Antichi abbiano saputo costruire solidamente i loro Teatri, basta guardarne gli avanzi. Dopo migliaia d’anni esisterebbero ancora sani, se la nostra trascuratezza, e l’avidità non li avesse distrutti o sfigurati. Col farli di pietra, li fecero per così dire eterni; quantunque poco o nulla avellerò a temere d’ incendio, perché tutto vi si operava alla luce del Sole. Noi vi operiamo tutto per mezzo di fiaccole, e per esporci maggiormente ad essere bruciati vivi, li abbiamo fatti di materie combustibili, di tavole e di tele.”2

In questo senso, esemplare è la vicenda del Teatro dei Santi Giovanni e Paolo. Il capitale viene dalla famiglia Grimani, i cui membri si impegnano direttamente nell’impresa anche come impresari. Il nuovo teatro, costruito nei pressi delle Fondamente Nove, apre i battenti nel 1639, soltanto due anni dopo il rivale Teatro di San Cassiano, di cui adotta lo stesso “business model”. L’investimento dei Grimani è importante: il teatro si estende su una superficie di 750 metri quadri,3 vanta un totale di 154 palchi distribuiti su cinque ordini e il palcoscenico è anche profondo e vasto con un boccascena largo circa 11 metri per permettere il massimo consentito dalla scenotecnica dell’epoca. La Delia o sia La Sera sposa del Sole di Francesco Sacrati inaugura una parabola luminosa fatta di 99 drammi in musica di cui 88 mai rappresentati altrove e fra questi i due capolavori veneziani di Monteverdi Il ritorno di Ulisse in Patria del 1640 e L’incoronazione di Poppea del 1643 oltre a numerosi lavori di Francesco Cavalli. La parabola si chiude sessant’anni dopo, nel 1699, con il Milziade di Giovanni Maria Ruggeri. Nonostante la sua storia gloriosa, già nel 1715 il teatro viene abbandonato e nel 1749 le cronache parlano di un edificio “poco men che affatto distrutto, e miseramente cambiato in vil magazzino di botti”4, che il 29 dicembre “precipitò sopra il rio della Panada … verso le ore 19. Questo già 33 anni fu dimesso, né più si recitava”.5 (…)

Un destino non troppo dissimile tocca a molti degli altri teatri nati nel secolo d’oro del dramma in musica. Il Teatro di San Cassiano ebbe vita più lunga ma, dopo l’importante rifacimento nel 1763, venne chiuso alla fine del secolo, ormai ridotto a poco più di un lupanare – “… donne di malavita e giovinotti prostituiti commettono ne’ palchi in quarto ordine que’ delitti che il governo, soffrendoli, vuole almeno che non siano esposti all’altrui vista. Ciò avviene dopo l’opera ” secondo un’informativa di Giacomo Casanova6 agli Inquisitori di Stato nel 1766 – e demolito nel 1812 dopo un lungo abbandono. La bolla si sgonfia già nel secolo. 

Nel passo citato in apertura il Milizia scrive di “sette teatri” nel 1773, oggi ridotti a tre, se ci si limita ai soli edifici storici, tutti comunque profondamente trasformati rispetto alle origini. Il Teatro Goldoni, l’antico Teatro Vendramin o Teatro di San Luca, inaugurato nel 1622 e dunque in funzione da 400 anni, ma più volte rinnovato fino all’ultima riapertura nel 1979 per destinarlo quasi esclusivamente al teatro di prosa (…). Il Teatro Malibran, l’antico Teatro di San Giovanni Crisostomo, come il SS. Giovanni e Paolo finanziato dai Grimani e inaugurato nel 1678 ma rifatto nel corso del XIX secolo e a lungo destinato a spettacoli popolari anche cinematografici prima del suo riscatto come seconda scena della Fondazione del Teatro La Fenice. E naturalmente il Teatro La Fenice, inaugurato nel 1792 ma, tramontata ormai la primazia finanziaria del patriziato mercantile, costruito secondo un modello imprenditoriale societario già proiettato sul secolo XIX, secolo che segnerà la sua grandezza. (…)

Spaccato del Teatro Grimani del 1776

Parlando di spazi per la musica a Venezia, sarebbe riduttivo limitare il discorso ai soli teatri. La città stessa si presta a fare da scenografia naturale per i riti che scandiscono la vita religiosa e sociale, spesso accompagnati da musiche, come il più fastoso, il corteo dogale, accuratamente organizzato secondo una coreografia dal valore simbolico con accompagnamento di trombe e altri strumenti a fiato per esaltare la dignità quasi regale del doge. Non meno teatrale è il corteo estremo del doge, cioè quello per il suo rito funebre, con la processione accompagnata dal Miserere dei rappresentanti di tutte le confraternite maggiori e minori della città (le Scuole grandi e piccole), dei diversi ordini religiosi, delle congregazioni e così via fino agli Arsenalotti. Ornata di drappi e di un passaggio coperto, Piazza San Marco è la scenografia della solenne processione del Corpus Domini, che attirava anche numerosi visitatori foresti. Spettacolo nello spettacolo i tableaux vivants di soggetto religioso o biblico inaugurati nel XVI secolo e curati dalle Scuole, con quelli della Scuola di San Rocco molto ammirati per l’opulenza di materiali preziosi e i generosi mezzi impiegati. (…)

Particolarmente fastose erano cerimonie e feste sull’acqua, elemento naturale della città, per le quali il bacino di San Marco, il Canal Grande e il Canale della Giudecca fornivano scenografie naturali particolarmente attraenti. Fra il bacino di San Marco e la Chiesa di San Nicolò sull’isola del Lido si svolgeva la più scenografica delle feste veneziane, la Sensa (l’Ascensione), con il simbolico sposalizio della città con il mare officiato dal doge. L’acqua era anche l’elemento preferito per feste private, come quelle fastosissime di Jacques Vincent Languet, conte di Gergy, ambasciatore francese a Venezia fra il 1723 e 1732. Per celebrare la nascita delle gemelle reali del monarca Luigi XV nel 1727, Gergy commissiona la serenata L’Unione della Pace ad Antonio Vivaldi, eseguita su una piattaforma galleggiante nel canale dove sorge l’Ambasciata, davanti alla Chiesa della Madonna dell’Orto, al cui interno viene anche eseguito Te Deum composto per la stessa occasione dallo stesso Vivaldi intonato da 80 musicisti. Per la nascita del Delfino Luigi Ferdinando nel 1729, ancora Gergy commissiona la serenata a tre voci Il Concilio dei Pianeti a Tommaso Albinoni eseguita nel giardino dell’ambasciata francese affacciato sulla laguna nord, introdotta da una “sinfonia grandiosa” e seguita da vari colpi di cannone.

Se Venezia offre magnifiche scenografie urbane, anche le sue chiese sembrano conformarsi a un’idea di teatralità che permeava le molte occasioni celebrative. Nella Basilica di San Marco furono le sfide di un’acustica complessa dovuta alle sue asimmetrie architettoniche a stimolare, come in un laboratorio sperimentale acustico, la creatività di generazioni di compositori con esperimenti sulla spazialità del suono attraverso la moltiplicazione delle sorgenti sonore. In altri casi, soprattutto a partire dal XVI secolo, la dimensione acustica delle esecuzioni musicali, componente determinante della liturgia, in presenza di un pubblico diventa elemento essenziale nella progettazione architettonica degli edifici religiosi. In tal senso, interessante è l’esempio della Basilica del Redentore sull’isola della Giudecca progettata da Andrea Palladio nel 1577 come chiesa votiva a ringraziamento per la fine della pestilenza del 1575. Senza pubblico, la navata presenta un lungo riverbero, che riduce le complessità della musica polifonica a un impasto di suoni non distinguibili. Non è così invece durante le solennità religiose, come dimostrano recenti studi di acustica, secondo i quali addobbi e presenza della folla di fedeli aumentano significativamente l’assorbimento del suono comprimendo i tempi di riverbero dei suoni a tutto vantaggio della chiarezza della musica.7 Dopo la festa, però, i frati cappuccini sollecitano al Palladio la costruzione di un più severo coro dietro all’altar maggiore, non amando troppo le sue stravaganti soluzioni architettoniche nel corpo principale della chiesa funzionali soprattutto alla dimensione cerimoniale ma molto meno alle quotidiane pratiche religiose e alle loro musiche.

©Hélène Sadaune

Concepite come autentiche sale da concerto sono invece le chiese collegate agli “Ospedali” operanti in città, cioè istituzioni assistenziali con un’importante attività musicale e formativa rivolta a orfani o bambini (e soprattutto bambine) di famiglie povere per assicurare loro un futuro. Primo anello della filiera musicale alimentata dalla passione per il teatro musicale, i quattro Ospedali attivi già dal XVI secolo – quello della Pietà, forse il più noto per il quarantennale servizio svoltovi da Antonio Vivaldi; quello dei Derelitti o dell’Ospedaletto, dove servirono musicisti del calibro di Giovanni Legrenzi, Nicolò Porpora, Tommaso Traetta, Pasquale Anfossi e Domenico Cimarosa; quello dei Mendicanti, dove l’imperatore austriaco Giuseppe II d’Asburgo nel 1775 assistette all’oratorio David poenitens di Ferdinando Bertoni; e quello degli Incurabili, il cui coro fu diretto da Antonio Lotti, Nicola Jommelli e Johann Adolf Hasse fra gli altri – furono oggetto di grande interesse presso i viaggiatori del Grand Tour o ai cacciatori di nuovi talenti. Per l’architettura musicale di queste chiese-auditorium Jacopo Sansovino fece scuola con il suo progetto per la Chiesa degli Incurabili, demolita del 1832: pianta ovoidale come la cassa di uno strumento ad arco, soffitto a forma di un liuto rovesciato e sui fianchi della navata grandi cantorie-tribune sopraelevate e spesso coperte da elaborate grate come nella Chiesa della Pietà di Giorgio Massari. L’obiettivo era principalmente quello di evitare i difetti acustici della Basilica di San Marco dove, secondo lo stesso architetto, l’ascoltatore percepiva solo un amalgama confuso di suoni.

Due cantorie pensili lungo le due opposte pareti laterali si trovano anche nell’antico Oratorio di San Filippo Neri presso la Fava. Non si tratta di una chiesa in senso stretto ma la sua importanza nell’ambito della musica religiosa è notevole e legata alla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri autorizzata dal Senato veneziano nel 1662. La Congregazione dedica notevoli risorse allo sviluppo di attività corali e strumentali viste come veicolo di indottrinamento in linea con gli insegnamenti del fondatore. A partire dal 1667, in occasione delle principali festività della chiesa, nell’Oratorio vengono rappresentati un gran numero di oratori e concerti, accolti con grande favore dalle autorità civili e religiose oltre che dalla popolazione. Nel 1671 i padri filippini conferiscono l’incarico di maestro del coro a Giovanni Legrenzi, che presenta diversi suoi lavori fra cui Il Sedecia nel 1671, Il Sisara nel 1672, La vendita del cuore umano, Il San Giovanni Battista e La morte del cuor penitente nel 1673, fino a Gli sponsali di Ester nel 1675. Fra fasi alterne e dopo una lunga sospensione durante la costruzione della nuova chiesa di Santa Maria della Fava, l’attività musicale riprese dal 1740 fino alla caduta della Repubblica nel 1797. Di quella feconda stagione resta oggi un fondo con 765 partiture originali manoscritte rese disponibili agli studiosi grazie a un lavoro di digitalizzazione sostenuto dalla Regione del Veneto.8 (…)

Teatro San Giovanni e Paolo, pianta del XVII e secolo

Esiste anche un luogo di fondamentale importanza per la grandezza della civiltà veneziana dove la musica non trovò mai casa. O piuttosto la musica era quella dei colpi di martello di “chi ribatte da proda e chi da poppa” e degli attrezzi di chi “fa remi” e “volge sarte” e di “chi terzeruolo e artimon rintoppa” per dirla con Dante,9 come in una sorta di battistelliano Experimentum Mundi “ante litteram” e autentico. È l’Arsenale, luogo che per secoli fu la maggiore fabbrica navale del mondo, centro nevralgico per la sfera militare ma anche politica ed economica della Repubblica. Fin dalle origini nel XII secolo quel luogo funge da cantiere per la costruzione di navi, di corde, di remi e di vele, ma anche da deposito di armi e stoccaggio di materie prime. È una fondamentale industria di Stato, che impiega circa duemila lavoratori in tempi di pace e fino a tremila durante i conflitti, e un indotto stimato in circa diecimila altri lavoratori, per lo più artigiani che forniscono i componenti necessari a completare le navi. Tale è l’importanza di quella fabbrica per l’economia e la sicurezza, che lo Stato veneziano nomina dei pubblici ufficiali, i Provveditori, per trasmettere gli ordini del Senato, per monitorare l’esecuzione dei lavori nei tempi previsti ma anche per impedire la diffusione fuori dalle mura dell’Arsenale di informazioni sulle tecniche di costruzione, di fatto segreto di Stato. Non ci possono essere feste e cerimonie pubbliche in quello spazio geloso dei suoi segreti. L’attività continua fino agli albori del XX secolo. Dopo, l’Arsenale conosce un lungo abbandono delle attività produttive e dell’occupazione nei suoi spazi dallo straordinario valore storico e architettonico, uno dei pochi esempi in Europa di autentica archeologia industriale.

Il lento risveglio da un lungo sonno avviene nel 1980, quando la prima Mostra di Architettura de La Biennale di Venezia occupa la lunga navata delle Corderie. Da quel momento, nel corso degli anni successivi La Biennale nelle sue diverse articolazioni, ha progressivamente riconquistato e fatto rivivere spazi come le Artiglierie, le Gaggiandre, le Tese cinquecentesche, rilanciandoli come spazio di cultura e di nuova musica e consegnandoli a una nuova pagina di una storia che ne mantiene la memoria. Le antiche fabbriche della Venezia industriale ritrovano una nuova identità fatta di espressioni diverse della creatività (…), che conservano e riscattano l’identità storica di quegli spazi. (…)

 

Stefano Nardelli

Stefano Nardelli è un musicologo e giornalista italiano specializzato nel teatro musicale del XX e secolo e contemporaneo. Collabora da anni con il media musicale italiano « gdm il giornale della musica » e scrive occasionalmente per il media tedesco « Opernwelt ». Firma numerosi saggi per delle case operistiche e discografiche.  Vive tra Venezia e Francoforte. 

 

(*) Il testo integrale è pubblicato nel catalogo della Biennale Musica 2022, Out of Stage ISBN: 9788898727674 © 2022 by La Biennale di Venezia

Articolo gentilmente concesso dalla Biennale di Venezia per Luxeavenise e dall’ autore Stefano Nardelli.

 

1 Francesco Milizia (1773), Del Teatro, in Venezia MCCLXXIII presso Giambatista Pasquali.

2 Francesco Milizia (1773), Del Teatro, In Venezia MCCLXXIII presso Giambatista Pasquali.

3 A titolo comparativo, la superficie di platea e palcoscenico del Teatro La Fenice è di 766 metri quadri.

4 Antonio Groppo (1766), Notizia generale de’ teatri della città di Venezia, In Venetia, Appresso Pietro Savioni.

5 Notatori Gradenigo, MCV, Gradenigo-Dolfin 67, i, c. 15r. citato in Nicola Mangini (1974), I teatri di Venezia, Milano, Mursia.

6 Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, b. 565, citato in Serenissimi Teatri. Attività teatrale a Venezia tra legislazione e spettacolo (secoli XVI-XIX), Catalogo mostra documentaria a cura di Michela Dal Bosco, Venezia, Archivio di Stato, 13-21 febbraio 2012.

7 Studi interessanti sull’acustica dei principali edifici religiosi veneziani si trovano nel ricco volume di Deborah Howard e Laura Moretti (2010), Sound and Space in Renaissance Venice: Architecture, Music, Acoustics, New Haven: Yale University Press, o nell’articolo di Braxton Boren e Malcolm Longair (2011), “Acoustic simulation of renaissance Venetian churches”, The Journal of the Acoustical Society of America.

8 Il catalogo completo è pubblicato in Cristian Bacchi (2002), ll fondo musicale della chiesa S. Maria della Consolazione di Venezia, Venezia, Fondazione Levi, Studi musicologici.

9 Dante, Inferno, Canto XXI

https://www.labiennale.org/it/musica/2022

https://www.giornaledellamusica.it/autori/stefano-nardelli

Pubblicato da Hélène Sadaune

Master II d'Histoire Moderne de la Sorbonne Paris IV, j'ai travaillé pendant plus de 20 ans pour la C.E. Résidente depuis plus de trente ans à Venise, guide conférencière à Paris et Venise, je suis une passionnée de la civilisation vénitienne et de cette ville hors-norme. Comptez sur moi pour vous tenir informé!

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